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Antico MUSEO DELL'OLIO del SALENTO

Esempio della centenaria tradizione della trasformazione dell'oliva nel Salento

 

 

 

 

...era "tra di noi fin da tempi molto

rimoti l'usanza di scavar col piccone nel

sasso un'ampia grotta, o caverna sottoterra,

e quivi entro calare,

e collocarvi gli attrezzi tutti, di cui fa

d'uopo, per cavar l'olio" .

G. Presta

(Degli ulivi delle ulive e della maniera di cavar l'olio. Napoli, Stamperia Reale, 1794)

 

Per raccontare al meglio quello che rappresenta la storia dell'olio d'oliva nel salento, non è solo tra le campagne che bisogna andare, ma sotto terra.

 

 

Luogo che meglio caratterizza la vita difficile, sofferta in silenzio e quasi in disparte dei contadini del salento  e della sua gente che ha saputo costruirsi, nella lunga storia contadina, una immensa esperienza nel saper trovare infiniti modi di sopravvivere e di adattamento ad una realtà difficile, come testimonia l’immenso patrimonio architettonico e artigianale spontaneo e non, materiale e immateriale di cui la terra salentina ne è ricca testimone.

Il frantoio, scavato nella terra tufina a tre metri e mezzo di profondità si trova su di un’antica strada detta "Serravecchia" e può essere datato intorno agli inizi del ‘700. Quindici scalini conducono dolcemente all'interno del locale sotterraneo di 850mq.


La vasca di 3.20 m. di diametro, fa da trono alla macina prodotta con pietra locale e circondata lateralmente da  quattordici  finestre, le “sciave“ nelle quali venivano ammassate le olive in attesa di essere macerate e introdotte dall'esterno tramite un foro della parete.

 

L’areazione naturale era assicurata da tre botole poste sulla volta che venivano anche usate per l’immissione delle olive.

 

Oltre al torchio alla  “calabrese“ che serviva per la prima pressione, abbiamo altri quattro torchi alla “genovese“ che servivano per la seconda pressione.

M.I.O.

Museo ipogeo dell'olio

Visita virtualmente il museo.

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Gente di mare

Di solito i trappitari (frantoiani), erano quattro o cinque persone più il loro capo chiamato "nachiro" dal greco “naùkleros”. Singolare invece che le mansioni minori come portare da bere, cucinare, pulire, accudire agli animali, fare piccole commissioni erano affidate ad un ragazzino.

I trappitari erano lavoratori stagionali che si alternavano tra terra e mare: nel periodo estivo, svolgevano il mestiere di marinai, nella stagione fredda, si chiudevano in questi antri sino alla fine dell'inverno.

Abituati a vivere in modo appartanto e con scarsa propensione alla socializzazione, erano sottoposti a turni di lavoro sia nelle ore notturne che in quelle diurne senza fare rientro a casa, ma riposandosi all'interno dello stesso frantoio dove non manca il camino per cucinare e un giacilio sul quale dormire.

La lunga corsa sotterranea tra inferno e paradiso

Anche agli stessi contadini che dovevano conferire le olive per la macinatura era vietato l'ingresso nell'interno del frantoio per evitare il verificarsi di furti sia di olive che di olio. Il conferimento delle olive per la loro macinatura avveniva dall'esterno, dove attraverso un sistema di camini sotterranei che collegavano l'interno con l'esterno, arrivavano velocemente nell'interno del frantoio, nelle cosidette  "sciave", e li vi rimanevano in attesa della loro lavorazione.

Macinate nella vasca centrale messa in movimento dalla forza di un mulo, la pasta di olive che si otteneva veniva adagiata sui fisculi che, inseriti uno sopra l'altro nel torchio chiamato "mammareddha", subiva la prima spremitura mentre per la seconda gli stessi, venivano sistemati in un altro torchio, "lu conzu", a vite unica e centrale tenuta in piedi da una grossa trave in legno chiamata "Santu Tunatu".

L'olio così ottenuto, attraverso sistemi di canalizzazione posti ai piedi dei torchi (il "derfinu"), e sotto la pavimentazione, andava prima in un contenitore scavato nel terreno e intonacato chiamato "ancilu" e poi da qui terminava la sua corsa in una cisterna più grande chiamata "nfiernu". Questo sistema di canalizzazione sotterranea garantiva la separazione tra l'olio e le impurità, la sansa, che andando a finire nella cisterna più grade a differenza dell'olio che rimaneva in quella più piccola (l'ancilu) raccolto con la "criscula" e "lu nappu", produceva calore da qui il nome "nfiernu" (inferno).

I graffiti: croci, mani e giochi orientali.

Nell'ipogeo diversi sono i graffiti incisi sulla tenera pietra leccese: sulla parete laterale all'ingresso, all'interno ed in particolare su un lastrone che originariamente era posto in maniera orizzontale, come se fosse una base di appoggio. Sul lastrone sono ancora visibili le incisioni di mani, date, croci, frasi, ed in particolare spicca un reticolo incorniciato a forma quadrata. Ciò che a primo impatto può sembrare un disegno geometrico fatto per  ingannare il tempo apre le porte alla secolare contaminazione di culture e mondi lontani che si trovano oggi come all'ora, al di là del mare.

Si tratta infatti del gioco dell'Alquerque o Quirkat, l'antenato della dama. E' un antichissimo gioco da tavolo astratto, probabilmente originario del Medio Oriente che fu portato in Spagna dagli Arabi, che lo chiamavano “el – qirkat (ne parla il “Libro de Juegos” di Alfonso il Saggio del 1283). Nel suo schema più diffuso, l’Alquerque ha un tavoliere formato da un griglia di quadrati che sono collegati fra loro da linee diagonali, creando così 25 incroci. I due giocatori hanno 12 pedine a testa, bianche o nere, e devono piazzarle ciascuno su una metà diagonale del tavoliere, lasciando libera la casella centrale.

 

Da ambiente di lavoro a museo

 

Il completo restauro dell'ipogeo risale al 2008 mediante fondi del Gruppo d’Azione Locale del Capo di S. Maria di Leuca - programma comunitario Leader Plus e con fondi della Comune di Giuggianello, ed è stato inaugurato il 18 ottobre dello stesso anno.

 

Al progetto di restauro e spettacolarizzazione del sito hanno partecipato, tra gli altri, l’Architetto Antonella Lifonso ed il Regista Edoardo Winspeare.

Il Centro di Cultura, nel mese di dicembre 2017 è intervenuto con finanziamenti propri derivanti in parte dai fondi raccolti con il 5xmille, al ripristino e al miglioramento dell'impianto di spettacolarizzazione ed illuminazione interna ed esterna all'ipogeo a cura dell'azienda Marsilio Impianti.

 

Visitare il Museo Ipogeo dell'Olio

Il frantoio è visitabile su prenotazione (clicca qui) e nelle giornate di apertura organizzate dal Centro di Cultura.

Il Museo Ipogeo dell'Olio è di proprietà del Centro di Cultura Onlus di Giuggianello.

L'ingresso al Museo è soggetto a una piccola quota di ingresso pari ad € 2,00. L'ingresso è gratuito per i bambini/e con età pari e/o inferiore ai 6 anni mentre è ridotto del 50% per i ragazzi/e che hanno una età compresa tra i 7 e i 16 anni compiuti.

Per gruppi organizzati e scolaresche è prevista una agevolazione. Richiedila da qui.

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